giovedì 25 ottobre 2012
Pausa (di depressione) dai tentativi di ritorno all'entusiasmo
Le nostre accuse dolcificate
i nostri sorrisi amari
sono accuse, sono sorrisi
di burattini indottrinati.
Anche se pensiamo di non esserlo.
Metereopatici
credenti
innamorati,
sia che il nostro burattinaio sia
il cielo
un dio
o il sorriso di un'altra persona
siamo in ogni caso
assoggettati ad un più potente volere.
E patetici
nella nostra miserrima condizione di dipendenza,
senza alcuna speranza né intenzione
di disintossicarci.
venerdì 31 agosto 2012
Tentativo di ritorno all'entusiasmo n.°2
Ho capito che non serve pensare a vuoto
che speranza e illusione sono spesso sinonimi
che ci sono modi molto più perfidi per far soffrire qualcuno
che picchiarlo o ammazzarlo.
Tutti i giorni mi sveglio, studio, butto l'immondizia, mangio poco, mi disilludo.
Tutti i giorni imparo a fidarmi sempre più solo di sette persone, forse sei. Tutti familiari o aspiranti tali.
Sempre guardo quello che era il mio personalissimo muro del pianto e, ironia della sorte, mi vien da sorridere.
Sempre più amo mia madre
e più amo lei, più amo me.
Quotidianamente mi convinco di aver agito secondo la mia volontà
e che, quindi, tutto va bene com'è.
Non ho mai rimpianti.
Non mi sveglio mai prima delle undici.
Non mi corico mai prime delle tre.
Non leggo mai romanzi idioti.
In questo mese ho pensato troppo
e ho concluso che voglio tornare da te,
amarti
e vederti sorridere.
Voglio guardarmi piangere allo specchio.
E cambiare mentalità,
spalancare le finestre
e ricominciare.
Respirare maturità.
sabato 18 agosto 2012
Tentativo di ritorno all'entusiasmo n.°1
Avere la testa vuota e silenziosa.
Avere la testa vuota e silenziosa e non sapere di cosa riempirla.
Perché nulla ha la poesia di un tempo.
Perché non c'è parola che ti possa strappare dal tedio delle guerre quotidiane con il mondo. Dalle guerre quotidiane con te stesso. Dall'insonnia. Dal rimorso.
Pensare che nulla più può sorprenderti e poi sorprenderti di te.
Sperare che tutto vada secondo i piani e poi scoprire che siamo pessimi calcolatori.
Invidiare chi c'è riuscito, chi è riuscito a prendersi ciò che voleva, senza sprecare tempo né risorse. Usando scorciatoie, forse.
Vivere sulle illusioni, non sugli allori, ché quelli son troppo fragili per sopportare il peso di un essere umano e delle sue incertezze.
Vedersi crollare il mondo addosso in media due volte l'anno e poi pensare che ci sei e che puoi ancora far qualcosa. Astrarti. Diventare sempre meno empatico.
Convincersi una volta per tutte che non arriverà nessun nemico a minare i tuoi progetti e ledere la tua libertà, ma invano; anche se non lo vedi, c'è sempre il Tempo.
La voglia di essere un'altra persona e non trovare nessuno in cui peregrinare perché nessuno soddisfa completamente tutti i requisiti. Forse l'unico sei tu.
Domani voglio svegliarmi e avere le stesse cosce, le stesse mani, gli stessi occhi, gli stessi capelli, lo stesso naso, le stesse certezze e le stesse illusioni di sempre.
Forse, domani, voglio solo svegliarmi, e basta.
sabato 16 giugno 2012
Maggio
e ho trovato altri occhi
ho seguito l'instabile confine delle lenzuola
per poi abbatterlo
e infine ho capito:
dove finisce il mio letto
non c'è più il vuoto
ma qualcosa di simile a me
che mi guarda con occhi socchiusi
e mi prende per mano.
Un'altra giornata,
sopravvivere insieme.
domenica 6 maggio 2012
Catastrofi seriali
Mi piace il tuo tatuaggio.
Voglio tatuarmi un uomo che fa il bagno in una tazza di tè come in un oceano di cortesia, appoggiato al bordo come a quello di una piscina.
Un tatuaggio e una didascalia: piove e Dio fuma e sbuffa sul porto boccate di nuvole, e il capitano, con pipa e orizzonte a portata di mano, crea il mondo sporto dal boccaporto.'
mercoledì 25 aprile 2012
Si fabbricano orizzonti da passeggio anche su ordinazione
Blu
mare verde
ondeggiante
con sfumature arancioni
quasi un quadro di Van Gogh
anche se lui, non so se abbia mai dipinto il mare
non so se l'abbia mai visto
ma in fondo, per riportarlo su una tela stanca
basta immaginarlo da lontano.
Forse è questo che cercavi;
volevi pensarmi a distanza
e far finta di baciarmi
e fare l'amore con me
perché solo in questo modo
avresti potuto dire di avermi vissuta
in tutta la mia pienezza
senza che la realtà intervenisse
a confondere i gesti e le situazioni
a boicottare i piani
così perfetti e candidi
nella tua mente di allora.
Scusami se non ho capito
se non ho associato prima
Van Gogh ed il suo mare immaginario
a te e ad una me ultraterrena
due mirifche essenze spirituali.
Scusami ancora
se ti ho chiesto fisicità
e altre cose troppo effimere
perché tu potessi coglierle
e fotografarle con i tuoi occhi
e soffrirne da cani sulla tua pelle.
Non mi sono mai accorta, in fondo,
che non avevi mani
né bocca con la quale parlarmi
né guance sulle quali far scorrere lacrime
troppo giuste per poter essere recriminate.
sabato 17 marzo 2012
Verde a metà
Pavimenti sbiaditi con geometrie perfette per le nostre liti inferiori
buste stese a ricordarci che siam noi, lasciarsi andare
domandandosi dove sia quel giorno
il giorno più verde che c’è
forse abbandonato in un ricordo assolato d’infanzia
un ricordo distratto
e non ricordarsi il modo per tornarci
il ponte demolito, gli alberi abbattuti
la terra arsa e le fabbriche solitarie.
E pensare di incontrarsi di notte in un letto
e svegliarsi sapendo che è stato un incontro addormentato
più che una corrispondenza biunivoca
di frecce e sguardi e luci di parole.
Le macchine parcheggiate male
davanti alle palestre simili a baratri
luoghi di perdizione dei freddi resti di buon senso.
Tornare indietro a cancellar momenti
a cambiar le situazioni e gli incontri casuali
per scoprire che i pezzi non combaciano
e capire com’è tutto collegato
assurdamente intrecciato a salire
verso il giorno più verde che c’è
che forse c’è già stato
e in quel caso piangere
sui pavimenti sotto gli arazzi
i miei singhiozzi per voi e per me.
Ho un occhio gonfio e non so perché.
E rialzarsi e fumare
sui balconi oscurati da foglie d’incenso immaginarie
le nostre domeniche distrutte dai mal di testa.
E le ferite interiori che bruciano con l’alcol
che bruciano con l’erba.
Assumiamo in droghe i nostri giorni peggiori
ripetutamente scappando
e tornando inferociti a batterci.
Attaccami con dolcezza.
Torna, parliamo,
non te ne andare.
Forse ora capisco che non sei mai arrivato.
La devastazione delle nostre camere
la gente che dorme nei nostri letti
gente intercambiabile
come l’aria in casa o in ufficio.
E vivere di libertà
e spezzare i legami
ed evadere di prigione
per fuggire nei boschi finlandesi
e sulle colline di Lepricani;
forse era quello il giorno più verde che c’è
e noi l’abbiam squartato e divorato.
Anche se tutto aleggia
con il cool jazz nella mia mente
così precisamente calcolato,
atti di premeditazione sentimentale,
anche se è tutto in disordine ora
c’è una sottospecie di ordine interiore
e pace dei sensi
ed apatia
e sangue e speranze solo momentaneamente abbandonate.
Lanciarti i miei segnali chimici attraverso un’indifferenza metallica.
Possiamo andare e tornare
e fare come se nulla fosse mai accaduto mai mai mai mai.
martedì 6 marzo 2012
Le città sommerse
Città che ho scelto di dimenticare;
è un gran peccato.
Città medievali con Mc Donald per amanti frettolosi:
quelli eravamo noi
che ci guardavamo
e ci promettevamo di ascoltarci
per non dimenticare in fondo ad una storia
la nostra individualità originariamente androgina,
per conservare intatte le sensazioni primordiali
e le motivazioni che ci spinsero in un letto sfatto
prima ancora di toccarci
e rovinare la nostra divinità con parole sfacciatamente umane.
Quelli eravamo noi
che ci promettevamo
di far galoppare i nostri sogni all’unisono
senza innalzare subdoli ostacoli
per poi ricondurli realizzati al maneggio,
tenendoci per mano
e facendo battere le nostre ciglia insieme a quelle dell’altro
così da vedere gli stessi pezzi di mondo
e lasciare all’universo ciò che l’altro non poteva vedere.
Quelli eravamo noi
e già oggi siam diversi
e corriamo in gare differenti
e già non pensiamo più a noi
mentre moriamo in vite divergenti.
Ed io che penso tristemente
all’espressione che avevi con me
chiedendomi se sia diversa ora
e già forse pensi ad altro,
abbandonando i nostri ricordi
sull’argine prosciugato del fiume
rendendoli carne da avvoltoi,
ma una carne povera
che non può attrarre nessuno
se non i vermi nudi,
mentre una donna in nero
ti sussurra, per non urlarlo,
“Ti prego, non farlo.
Non tornare, non farlo”.
martedì 31 gennaio 2012
La teoria dell'eterno ritorno applicata a fatti di marginale importanza.
Ho sceso le scale dell’appartamento del mio nuovo palazzo, nella mia nuova città.
Ho sceso le scale e, in fondo alla strada, c’eri tu che mi aspettavi.
Non è che io sia scappata, ma non mi va di trovare pezzi del passato nella mia nuova vita.
Avrei tanto voluto rimanere impassibile, come si fa a rimanere impassibili, ad indossare la maschera dell’indifferenza?
Mi hai detto che dovremmo parlare. Di nuovo. Ti ho risposto che per me ci eravamo già detti tutto, pensa un po’. Poi ti ho chiesto chi ti avesse dato il mio nuovo indirizzo. Ti ho chiesto perché fossi venuto di persona, attraversando l’Italia a mezzanotte, invece di scrivermi una lettera, che fa tanto romantico, e poi sarebbe stata più carina perché avrebbe evitato il contatto visivo che mi scombussola ancora l’organismo e avrei sempre potuto conservarla in fondo ad un cassetto e rileggerla quando avrei avuto nostalgia di noi. Poi mi sono chiesta perché continuo a ritrovare pezzi della mia vita nei libri, delle situazioni del mio passato con le stesse identiche modalità, con le stesse parole, assurdamente. E’ terribile, è come se avessero violato la tua privacy, avessero preso la tua storia e l’avessero messa sotto gli occhi del modo, a tua insaputa, senza il tuo consenso, senza neanche ringraziarti per l’ispirazione, senza neanche ringraziarti per gli incassi. E se andassi al cinema, probabilmente, rivivrei la mia vita proiettata su uno schermo, come accade al protagonista di qualche stupido film che ho visto e di cui non ricordo il nome.
Dicevo, ti ho chiesto come avessi avuto il mio indirizzo. Mi hai risposto che non importa. Mi hai risposto che rivuoi il passato, che eri confuso. Bella mossa. Bella scusa, la confusione. Mi chiedo perché io non lo sono mai. O meglio, lo sono, ma in ogni istante della mia vita so chi amo, cosa sto facendo, cosa voglio, dove mi sto dirigendo. In ogni istante della mia vita. E tu eri vivido e reale davanti a me, ti sei interposto tra passato e futuro, in un momento imprecisato del mio presente turbolento e disperato.
E in mezzo al frastuono entropico della città, davanti al mio bus che sta partendo, mi dici che rivuoi proprio me. Che potremmo espletare insieme le nostre funzioni emozionali. Ad intervalli di un’ora, magari, per non arrivare a metà giornata devastati. Accusandoci di essere rimodellabili, ma facendoci dono dell’incredibile potere di cambiarci. I nostri pensieri di creta, le nostre mani di marzapane. Gli strumenti che non hai imparato a suonare, le lingue che non so ancora parlare. Le situazioni ideali, i sogni dell’inconscio che non abbiamo ancora imparato a discernere dal reale. La mia peggiore paura. I tuoi ritorni strappalacrime che mi strappano parole che avevo giurato di non scriverti più. La mia decisione masochista, il divieto arbitrario di tornare indietro.
Il tuo nome sui miei quaderni. E che il mio sia un veleno per te.
Ma i miei anticorpi hanno imparato a riconoscerti, la mia risposta è puramente immunitaria.
Addio.
PS Non è che non trovi il coraggio di dirtelo a voce. Dietro il mio comportamento non si nasconde vigliaccheria. Dietro il tuo, forse.