mercoledì 16 marzo 2011

Le parole d'amore, quelle no, non potrò proprio dirtele.


Viva l'Italia, eh?


Che poi, se ci pensi, l'Italia non esiste. Qualche italiano, quello sì, ma comunque son troppo pochi per formare un popolo. Perché il ceppo non è nemmeno unitario, perché gli italiani veri sono in Francia o in America e sono diventati stranieri.

Gli italiani parlano mille lingue, gli italiani non si capiscono. E quelli che si capiscono non agiscono con unità d'intenti.

Cos'è unità per voi? Avere una lingua ufficiale, una religione comune, un territorio delimitato da chiamare patria ed essere disposti a morire per esso, ma io preferirei che voi foste tutti disertori che si difendono dagli usurpatori della cittadinanza che chiamano italiani.

Resistenza, già. Resistenza al buonismo dilagante delle manifestazioni del 17 marzo, Resistenza intesa come difesa dall'ipocrisia di gente che canta l'inno e vota lega Nord.

In fondo, la Padania non esiste. Il 17 marzo, no, non esiste. Perché gli sguardi di tutti sono puntati altrove ed è reale solo ciò che obiettivamente è visibile, tangibile, sfruttabile.

Trieste non festeggia, Bolzano non festeggia, non festeggiano i precari, non festeggiano i disoccupati. Non festeggiano coloro il cui futuro prossimo è andato palesemente a farsi fottere.

Si festeggia il compleanno della gente, non dei terreni e dei monumenti. E' la lucidità di tutti ad essersi persa per strada.


Oggi io diserto. E dato che non mi va di tener su il muso mentre gli altri si divertono festeggerò altro. San Patrick per esempio, o Baudelaire, o questa verità relativa, che non tenterò di imporre o di assolutizzare.

Ma mi dispiace, le parole d'amore, quelle no, non potrò proprio dirtele.

venerdì 11 marzo 2011

> di duecentotrentasei.


11/03/2011 03.13 AM


E' inutile sbracciarti, sono inutili i segnali di fumo e i barbecues irlandesi e il rum per prendere a schiaffi le inibizioni sulle poltrone lise che si trasformano in letti d'ospedale la domenica mattina.

Mi fai ridere quando fai così, quando mi tiri fuori la parte sentimentalista che io ingoio, ma che poi ti vomito addosso. E mi fanno ridere i duecentotrentasei km di Brondi quando le mie distanze sono più del triplo di duecentotrentasei km.

Perché mi sembra proprio che noi siamo il tipo di gente che si infila sempre nelle situazioni più inverosimili, nei futuri senza città, nei progetti improbabili. Noi siamo quelli dei problemi inesistenti, delle motivazioni forzate, della razionalità necessaria e devastante. Io sono quella che si brucia i capelli all'inferno mentre cerca di accendere una sigaretta. Tu quello che scava nelle mie idiosincrasie e ne tira fuori il meglio e mi studia le labbra e mi sussurra il mio nome, per ricordarmi che è lì con me.

Vorrei che il numero delle notti insonni nei bus, nelle pagine fosse minore di quello delle notti di pensieri allucinati dall'adolescenza passata che svisceriamo, che rinneghiamo. E pensa a quello che siamo diventati e stupisciti, perché io non credevo che oltre a me esistessero altre persone meravigliosamente interessanti. Maledettamente lontane dai passanti.

Perché io non so se riusciremo ad essere di nuovo così vicini, io non sono sicura che non perderemo orgasmi per strada, che non ci tradiremo con gli illusionisti del venerdì sera. Che non mi ruberai le idee, che non mi farai tremare.

Vorrei solo che restassimo umani come quando ci siamo incontrati, che non ci perdessimo dietro le convenzioni e i protocolli sociali delle coppie per strada.

Che non è facile come le altre volte, che le parole le devo prendere per i capelli per potertele scrivere, che ho paura che tu mi scambi per una donna che non sono.

Sei il primo che non ho costruito io, sei il primo uguale a come immaginavo, sei il primo per tante situazioni che non ho la voglia di rievocare.

E intanto riempiamo i fogli di conti alla rovescia, dei valori inflazionali dei pensieri che ci dedichiamo.

E intanto rinneghiamo le coincidenze, come se ci saremmo incontrati comunque, perché siamo troppo affini per poter pensare che non saremmo riusciti ad entrare nello stesso pub, sederci allo stesso tavolo.


Ti prego, annega nel lago dei miei occhi e bevi le mie parole.

Anche se poi non tornerai.


giovedì 3 marzo 2011

Correre, ora.


Dov'erano i tuoi occhi
e chi guardavano
quando i miei lucenti e disillusi
odiavano lui e il mondo insieme
nel punto in cui si fondono
rancore e pietà
e l'esperienza giunge solitaria
a consolare il cuore che
rivelatore
sussurra alla coscienza che non tornerà.

Dov'erano le mani
che lei stringeva disperata
al seno e al cuore
mentre io urlavo
non te ne andare
e lei urlava
non te ne andare.
Dov'eravamo noi
ora sconfitti e inconsolabili
che ci guardiamo da lontano
e sorridiamo insieme
al passato che imperterrito
ci insegue e ci sfugge.

Dov'era il tuo corpo giovane,
dov'era il mio?
Chi baciavamo
nella freschezza dei nostri letti
nella freddezza di quelle notti
che non moriranno
che non possono tornare.
Dentro il corpo di chi amavi
ed io chi lasciavo entrare...

Sconosciuti come ombre
ci inseguono dal fondo della nostra adolescenza
per ricordarci nel giorno nuovo
che il mondo è grande
e i prati fioriti
e le nostre palpebre
non sono più abbassate
a guardar la terra
ma guardiamo dritto in faccia
al rimpianto,
alla guerra,
a questa vita.