giovedì 21 aprile 2011

Avorio


Quando assassine
le braccia mefitiche
mi sradicheranno dalla tomba
eternamente marmorea
stoltamente solida e morta,
con le dita di silvani demoni
mi dilanieranno l'utero
e gli occhi allucinati,
tu non fuggire
a baciare altre bocche
ma comprimi con le tue mani
il mio seno d'avorio
e spingiti un po' più in là
del limite convenzionale
negli anfratti inaccessibili
bianchi di neve secca.
Non dimenticare
che non sei slegato ora
dalla mia vita e dagli eventi
che non sei in grado di procedere
rarefacendoti ai miei occhi
che sei condannato
a vivere in simbiosi
con l'anima a cui ti leghi
con la coscienza ed il corpo imperfetti
che torturo e incessantemente violento.
Seppellisciti in solitudine
nel tuo letto di spade svendute
con le costole rotte
i pensieri interrotti
che non potrò dedicarti
che non potremo più
scambiarci il sangue e gli orgasmi.
Perché il filo di seta
non potrà ricongiungersi
una volta spezzato
il rischio che si corre
è di allontanarsi tanto
da non vedersi più
da non controllare gli arti
in movimenti scomposti
nella disumana corsa dettata
da un platonico mito di ricongiungimento.
Che forse il problema è tutto qui
sono troppo piena di me
per farvi spazio
per lasciarmi penetrare completamente
per sottomettermi al dolore
per non prosciugarti
con i miei deserti interni.